El Shesh Kebab – Intervista a Hassanein Mosleh

Il termine kebab vuol dire “arrostito” e sembra sia stato ideato nel Medioevo dai soldati persiani che usavano le loro spade come spiedo per grigliare la carne, quando la sera accendevano il fuoco negli accampamenti all’aperto.
Questa deliziosa pietanza è ormai diffusa in tutto l’Occidente e il suo consumo si allontana sempre più da un’esperienza di eccezionalità e diversità gastronomica, per entrare a far parte delle pratiche quotidiane. Il kebab, quindi, tende a perdere connotazioni culturali marcate e si colloca in uno spazio intermedio tra il cibo di strada tradizionale e il cibo esotico… Un po’ come la pizza napoletana: un “cibo senza frontiere”!
Era il 1994, quando El Shesh Kebab iniziò a piantare con cura i semi del suo successo. Una delle primissime gastronomie egiziane a Torino, da sempre punto di ritrovo per tanti giovani studenti fuori sede e per chiunque abbia voglia di mangiare bene e sentirsi accolto. Da El Shesh puoi immergerti in suggestioni evocative e, al tempo stesso, familiari. Sei in viaggio eppure ti senti a casa. E il tè nell’attesa è una coccola che riscalda il cuore. Quando ho proposto a Hassanein Mosleh di intervistarlo per la mia tesi sull’imprenditoria etnica nel quartiere torinese di San Salvario, lui non ha esitato nemmeno per un secondo. È stato il primo e mi ha portato fortuna 🙂
IL PERCORSO DELL’IMPRENDITORE
Quali esperienze formative e professionali ha vissuto nel suo Paese d’origine o all’estero, prima di arrivare in Italia?
In Egitto ho studiato per il diploma di falegnameria e ho lavorato lì per 4-5 anni. Poi, ho cambiato settore e ho lavorato 3-4 con la ceramica. Ho deciso di andar via dall’Egitto per cercare una vita migliore. Da quando ero piccolo, ho sempre avuto il desiderio di viaggiare. Mio fratello era a Vienna da quasi 6 anni… Mi ha chiamato e mi ha chiesto di andare lì. Io ci ho pensato tanto e alla fine sono andato a Budapest per prendere il visto e lì ho lavorato per un mese con un amico che commerciava pezzi di ricambio delle auto. Ma ho deciso di andar via perché la città era troppo fredda. A Vienna, poi, faceva ancora più freddo… Io stavo cercando il calore e nel 1996 sono venuto in Italia.
Ho lavorato per un anno in un bar per una signora napoletana, Anna. Ha due figli ed è diventata nonna. Lei ha fatto tante cose belle per me. Mi ha insegnato l’italiano e mi è rimasta nel cuore. Ho imparato a fare la pizza grazie a lei. Poi Anna ha deciso di vendere l’attività e io l’ho aiutata in questo: ho trovato un tunisino che voleva comprarla. Dopodiché, ho lavorato per due anni con un amico in una gelateria in Corso Francia. Poi, io e mio fratello abbiamo deciso di iniziare una nuova attività indipendente.
Cosa la ha attratta a Torino e/o, nello specifico, a San Salvario?
Ho scelto Torino perché c’era mio fratello e poi anche perché altre persone de Il Cairo vivevano qui. Ho pensato di cambiare, ma Torino è la mia città. E la mia vita è in San Salvario.
In Italia, quale impiego ha svolto prima di iniziare la sua attività imprenditoriale?
Ho lavorato per un anno in un bar per una signora napoletana, Anna. Ha due figli ed è diventata nonna. Lei ha fatto tante cose belle per me. Mi ha insegnato l’italiano e mi è rimasta nel cuore. Ho imparato a fare la pizza grazie a lei. Poi Anna ha deciso di vendere l’attività e io l’ho aiutata in questo: ho trovato un tunisino che voleva comprarla. Dopodiché, ho lavorato per due anni con un amico in una gelateria in Corso Francia. Poi, io e mio fratello abbiamo deciso di iniziare una nuova attività indipendente.
Quando ha deciso di avviare l’attività? Quali fattori hanno influito su questa scelta?
Il motivo principale è che non mi piace lavorare per qualcuno. Per il mio carattere, non riesco a lavorare se qualcuno mi dice di fare qualcosa. Allora, io e mio fratello abbiamo cominciato a cercare un locale.
Ha ricevuto aiuto/sostegno da amici, parenti, enti pubblici o privati…?
Il mio capitale iniziale era di circa 3 mila euro, che ho portato dall’Egitto (5 mila dollari). Ma ho ricevuto aiuti, perché io abito qui, la mia vita è qui. L’Italia è il mio secondo paese. Ho conosciuto un medico libanese che lavorava per un giornale. Lui mi ha aiutato e mi ha fatto lavorare al posto suo dopo 3-4 mesi. Ho consegnato i giornali dalle 16 alle 19.30 per 6 anni, in San Salvario.
Quali ostacoli e nuove difficoltà continua a incontrare per poter portare avanti l’attività?
Grazie a Dio non ho avuto problemi… Ho incontrato tante belle persone che mi hanno aiutato. La mia difficoltà principale era la lingua. Anche oggi non parlo molto bene perché non l’ho studiato. Quest’anno abbiamo vinto il 24° posto come gastronomia più buona della Strada del Gusto.
LE CARATTERISTICHE DELL’IMPRESA
Identificherebbe la sua clientela a prevalenza italiana, straniera o mista?
Il primissimo cliente è stato un ingegnere libanese che studiava qui a Torino. Dopo i primi sei mesi, c’è stata un’esplosione di clientela. Sono finito anche su Rai1… Un italiano aveva sentito parlare di questa gastronomia egiziana ed è venuto a mangiare un panino. Gli è piaciuto molto e mi ha detto che avrei sentito il mio nome e quello della mia attività. Lavoriamo da matti. Alle 10 del mattino vengono a bussare a casa mia per chiedermi di cucinare!
Una volta è entrato un ragazzo vegetariano e io gli ho preparato un piatto tipico, che si chiama Falafel… Con i clienti non ci sono mai stati problemi. Noi abbiamo scelto la clientela e loro hanno scelto noi. Due ragazzi che venivano a mangiare da noi quando erano fidanzati, adesso vengono con la figlia. Ci sono anche dei giocatori della Juve e del Toro che vengono a mangiare da noi!
Molte persone vengono qua, non solo per mangiare il panino, ma per sfogarsi sui loro problemi. Da venti anni, si sfogano tantissimo. La prima cosa a cui abbiamo pensato quando abbiamo aperto è che volevamo lavorare per gli studenti e aiutarli. Ancora oggi, alcuni studenti che hanno frequentato l’università qua e adesso sono tornati a casa loro mi chiamano per dirmi come stanno. Dieci anni fa, altri sono venuti con me al Cairo. Non li vedo come clienti, ma come fratelli. Abbiamo scelto di eliminare quello spazio di mezzo.
Ha mai messo in pratica “strategie competitive” per affrontare la concorrenza? Che tipo di rapporti ha con gli altri imprenditori attivi nel suo stesso settore?
Noi lavoriamo su quattro “strategie”:
- Non pensiamo alla concorrenza
- Cerchiamo di stare bene dentro
- Facciamo il nostro lavoro con genuinità. Come cucino a casa, così faccio qua
- Sorridiamo
Se c’è un problema, lo si risolve. Per questo chiediamo ai nostri clienti di dirci quando c’è qualcosa di sbagliato, così possiamo correggere. La cura è fondamentale, come fossimo a casa.
Ha mai frequentato dei corsi di formazione (o aggiornamento) professionale? Se si, di che tipo? Ne ha tratto beneficio ai fini dello sviluppo della sua attività?
Ho frequentato corsi di aggiornamento per la ristorazione e per il mantenimento del locale. Due anni fa ho fatto l’ultimo corso su come si conserva il cibo. Alcuni erano obbligatori, mentre altri li ho scelti io.
LA PERCEZIONE DI SÉ E CONSIDERAZIONI SUL FUTURO
Secondo lei, è corretto parlare di “integrazione riuscita” in San Salvario? Vede delle differenze rispetto ad altre zone di Torino, altre città d’Italia e altri paesi? E rispetto al suo paese d’origine?
Mi sono sempre trovato bene a San Salvario. Ho fatto tante amicizie, sono stato fortunato. Non c’è paragone rispetto agli altri paesi. Non ho vissuto troppo tempo all’estero, ma sento che l’Italia è più vicina a me: siamo accomunati al carattere mediterraneo. Sono andato a Milano, Roma… e il sentimento non cambia. Chiaramente, in ogni città c’è il bene e il male, ma bisogna andare avanti e focalizzarsi sul bene. Prendiamo la cosa buona di ciascuno e lavoriamo su questa. Non guardiamo le cose cattive…
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Ho provato ad aprire più locali, ma mi sentivo in galera. Non vivevo più e ho detto basta, voglio essere tranquillo. Se lavori fino a tardi, perdi tutto il resto… Adesso facciamo consulenza per chi vuole avviare un’attività in proprio. Li aiutiamo a fare il progetto per il locale. Non c’è invidia, non c’è malizia. Bisogna aiutarsi e l’aiuto esce proprio dal cuore.

Appassionata di scrittura e giornalismo, provo a dare forma ai diritti umani con le parole.
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