Vai al contenuto

Horas Kebab – Intervista a Bibo

Scritto da:

Benedetta Pisani

Durante le mie prime settimane da studentessa a Torino, annotavo su un piccolo taccuino blu tutti i ristoranti, le pasticcerie e i bistrot assolutamente da provare. Horas Kebab era tra quelli. Eppure per tre anni, ho vissuto senza i fantastici falafel di Bibo… mi chiedo come io abbia fatto.

Finalmente è arrivato quel giorno anche per me. Il giorno in cui Bibo mi ha chiamata “Bella terrona!”. Non vedevo l’ora. Tutti mi avevano parlato con divertito entusiasmo del suo peculiare modo di interagire con il pubblico. E, dopo l’intervista, me ne sono tornata a casa con il sorriso e con un pacchetto pieno di falafel.

IL PERCORSO DELL’IMPRENDITORE


Quali esperienze formative e professionali ha vissuto nel suo Paese d’origine o all’estero, prima di arrivare in Italia?

Io sono laureato in matematica e prima di venire in Italia ho lavorato anche nel campo della ristorazione. Parliamo del periodo universitario, tra il 1985 e il 1990… Lavoravo perché non volevo chiedere i soldi a mio padre. Ho fatto un po’ di tutto… aiutante elettricista, muratore, imbianchino, ho lavorato in campagna.


Cosa l’ha attratta a Torino e/o, nello specifico, a San Salvario?

Sono stato in tante città italiane: Roma, Milano, Venezia, Bologna, Bari, Verona, Vercelli… Però, Torino è tipo un piccolo paesino, per questo mi piace. Ho scelto Torino anche perché qui c’era già mio fratello.

In Italia, quale impiego ha svolto prima di iniziare la sua attività imprenditoriale?

Sono arrivato in Italia nel 1990 e ho lavorato al mercato generale per quasi sei mesi… Ma lì non facevo niente, giusto quel poco che mi serviva per mangiare. Dopo, ho iniziato a lavorare in un ristorante italiano come lavapiatti, poi come aiuto-cuoco, cuoco, chef… Ho anche cucinato per la Juve per 5 anni… Vedi, ho anche le foto con tutti i giocatori e l’allenatore!

Dopo 4 anni in un ristorante italiano, è uscita la legge del 1993 sul permesso di soggiorno; ma il proprietario non ha voluto aiutarmi, quindi, ho dovuto fare tutto da solo, di tasca mia. Lui e sua moglie mi prendevano in giro e non mi davano da mangiare… A mezzogiorno, solo pastasciutta e la sera un piatto di insalata scondita. Basta. Non ho voluto più mettere piede in quel posto… Ogni tanto, lui passa qui da me e io lo tratto sempre bene perché io non sono come lui.

Quando ha deciso di avviare l’attività? Quali fattori hanno influito su questa scelta?

Dopo aver fatto la mia esperienza nella ristorazione italiana, non avevo più voglia di lavorare per gli altri. Ho deciso di aprire un’attività dove si possono trovare piatti tipici egiziani e arabi… Abbiamo iniziato nel 2000 e il negozio era molto piccolo, la metà di quello attuale.

Dopo un po’ di anni, abbiamo aperto altri locali… Due Kebab, in via Po e in Corso Vittorio Emanuele; una macelleria qui, in via Berthollet. Ho aperto anche un negozio di parrucchieri. E da circa 18 anni, in società con un amico, mi occupo anche di trasporto internazionale di merce dall’Egitto in Cina, Turchia, Thailandia, Italia… Vendo pezzi di ricambio per automobili. 

Ha ricevuto aiuto/sostegno da amici, parenti, enti pubblici o privati…?

Non ho avuto nessun aiuto, anzi. Tante volte sono stato trattato molto male dagli italiani… Ricordo che, nel 1991, quando lavoravo ancora al mercato generale, un signore mi disse di andare a lavorare per lui vicino lo stadio della Juve… Ma dopo un’ora e mezza mi ha detto di andar via perché non capivo l’italiano. Io ero in Italia da due mesi e non capivo nulla, non sapevo come tornare a casa… Non ricordavo l’indirizzo e sono stato sull’autobus quasi tre ore perché non c’erano tanti arabi a quell’epoca, eravamo forse 10 egiziani. Per fortuna, poi, è salito sul bus un egiziano e gli ho spiegato la situazione… Lui mi ha aiutato a trovare la via di casa.

Quali sono le principali difficoltà che ha dovuto affrontare per aprire la sua attività?

Niente va liscio come l’olio. Sul campo del commercio ho avuto tanti successi e tanti fallimenti. All’inizio vendevo i tamburi africani che venivano dall’Egitto ma sono stato fregato da tante persone, anche qui in Italia. Ma io sono un tipo vivace e non mi butto giù quando c’è qualche problema… e non do la colpa a nessuno. Mi riprendo subito e mi dico “Ce la faccio!”.

LE CARATTERISTICHE DELL’IMPRESA

Identificherebbe la sua clientela a prevalenza italiana, straniera o mista?

Quasi il 90% dei clienti è della comunità europea. Vengono da tutta Europa, non solo dall’Italia. Io ho voluto attrarre questa clientela perché mi piacerebbe lavorare con loro.

Qualora volesse rispondere, come descriverebbe i suoi rapporti con la sua clientela? Nota delle differenze in base alla loro provenienza?

Io ho un buon rapporto con tutti i miei clienti, un rapporto di amicizia non esclusivamente commerciale. Quando, dopo qualche anno dall’inizio della mia attività, hanno aperto altri Kebab, io ho deciso di prendere un’altra strada per rimanere nella testa dei miei clienti quando vengono. Io ho studiato marketing e per trovare una strategia diversa da tutti gli altri, devi avere qualcosa di particolare. Ho iniziato a chiamarli “immigrato”, “terrone”, “calabrese”, per farli ridere e per sciogliere il ghiaccio tra italiani e immigrati. Quando qualcuno si offende – mi è capitato due volte in tutta la mia carriera – io gli dico “non vedi che sto sorridendo?”… non tutti capiscono l’ironia.

Nella scelta dei suoi dipendenti ha preferito considerare i suoi connazionali? Se si, perché?

Ho scelto dei connazionali (in senso ampio, non solo egiziani) perché capiscono la lingua e conoscono la nostra cucina. Non ho difficoltà a spiegargli le cose e a comunicare con loro.


Ha mai messo in pratica “strategie competitive” per affrontare la concorrenza? Che tipo di rapporti ha con gli altri imprenditori attivi nel suo stesso settore?

I ristoranti kebab hanno scelto la strategia sbagliata fin dall’inizio perché hanno dei prezzi troppo bassi e questo significa che devi lavorare molto di più per guadagnare qualcosa. Dovremmo fare come gli italiani: il kebab a me costa 3 euro e a te lo vendo a 6 euro. Invece noi abbiamo lavorato tantissimo anche perché siamo stati sfruttati dagli italiani. Quindi. Alla fine, abbiamo scelto di sfruttare noi stessi per non stare più sotto un padrone. Ma è comunque una strategia sbagliata perché diamo un servizio e gli italiani non sono contenti lo stesso.

Adesso cambierò strategia, anche perché da Aprile allargherò il locale e sarà tutto diverso: tavoli, divise nuove per i ragazzi, carne piemontese per fare la grigliata… Io ho iniziato come primo Kebab di tutto il Piemonte e ora voglio diventare il più bello.

Per quanto riguarda la concorrenza, io non la guardo. Sono dell’idea che io sono io e l’altro è altro. Ognuno ha le proprie caratteristiche, personalità e modi di fare. Non è mai concorrenza perché siamo molto diversi.

Ha mai frequentato dei corsi di formazione (o aggiornamento) professionale? Se si, di che tipo? Ne ha tratto beneficio ai fini dello sviluppo della sua attività?

Quando ci sono nuovi corsi sulla ristorazione, io li seguo sempre. L’ultimo di 48H era un corso di aggiornamento sui diritti del ristoratore e dei clienti.

LA PERCEZIONE DI SÉ E CONSIDERAZIONI SUL FUTURO

Complessivamente, è soddisfatto della sua attività allo stato attuale?

Io sono contentissimo e soddisfatto di quello che ho fatto. Sono un immigrato, arrivato in Italia dal Terzo Mondo, e sono riuscito a farmi conoscere in tutto il Piemonte. Sono stato anche sponsor del Toro per 15 anni… Quando vai allo stadio, su tutto il blocco c’è il mio nome e la mia faccia. Questo significa che sono bravo.


Secondo lei, è corretto parlare di “integrazione riuscita” in San Salvario? Vede delle differenze rispetto ad altre zone di Torino, altre città d’Italia e altri paesi? E rispetto al suo paese d’origine?

Io amo Torino, è casa mia. Quando sono arrivato, il quartiere di San Salvario non era sicuro. Dopo le 8 di sera, non si poteva più uscire perché era comandato da bande di malavitosi. Poi dopo si è allentata un pochino la tensione e i rapporti tra italiani e immigrati sembravano migliorare. Poi, l’immigrazione “è diventata troppo”… La classica scusa degli italiani per giustificare la loro disoccupazione. È una fregatura per gli italiani, prima di tutto, perché troveranno sempre delle scuse e non lavoreranno mai se pensano di uscire dall’università e trovare subito il lavoro collegato ai loro studi… Anche io sono laureato in matematica ma non ho fatto l’insegnante. Sono stato muratore, lavapiatti… Un italiano laureato che invece non lavora perché aspetta di trovare il lavoro dei suoi sogni è meglio di me? Non credo.

Lo spaccio in San Salvario esiste ma non è difficile arrestare le persone coinvolte. La polizia, però, non lo fa. È una cosa voluta politicamente per far crescere l’odio tra italiani e immigrati. È una grande fregatura perché non è vero che il problema dell’Italia sono gli immigrati. Anzi, potrebbero essere una risorsa.

Articolo precedente

José Saramago - In Ripida Salita Verso Cecità

Articolo successivo

Io So Perché Canta L'Uccello In Gabbia - Maya Angelou

Unisciti alla discussione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *